Tempo fa ho avuto l’occasione di incontrare per una chiacchierata informale, ma ricchissima di spunti ed informazioni interessantissime, il Dott. Fedele Termini, psicologo e vice-direttore scientifico allo IEMEST (Istituto Euro-Mediterraneo di Scienza e Tecnologia) con alle spalle 21 anni di esperienza clinica.
Lo IEMEST è un istituto di ricerca totalmente privato, riconosciuto dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), che si sostiene ricavando fondi non da finanziamenti pubblici, ma unicamente partecipando a bandi Nazionali, Regionali ed Europei.
L’Istituto di ricerca poggia le proprie basi su quattro pilastri fondamentali: l’area di ricerca Biomedica, l’area di ricerca relativa alla Bioagricoltura e Patologia Vegetale, l’area di ricerca delle Energie Rinnovabili e Biomasse, e l’area di ricerca dedicata alle Scienze Umane e Sociali.
Lo IEMEST nasce nel 2009, ma la sede attuale è stata inaugurata l’anno scorso, in seguito ad un finanziamento ottenuto per il progetto Cyber Brain, legato a un PON (Programma Operativo Nazionale). Questo progetto si è basato su studi svolti con particolari devices per approfondire argomenti finalizzati alla cura di malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer, che hanno un forte impatto sociale e psicologico.
Il Dottor Termini mi racconta che l’Istituto ha organizzato e seguito nelle scuole anche seminari riguardanti alcuni disturbi comportamentali alimentari, e che ha presentato diversi progetti toccando anche ambiti come quello delle dipendenze patologiche.
L’Istituto lavora su diversi progetti anche in ambito alimentare. L’alimentazione sostenibile, lo studio degli aspetti legati all’Agrofood, l’utilizzo di alghe e insetti come nuove risorse, la validazione del potere nutraceutico di culture antiche e non diffuse sono argomenti che, di fatto, rientrano già in alcuni progetti.
Con il Dott. Termini, abbiamo parlato di diverse tematiche legate al cibo, ed in particolare del legame che intercorre tra lo stesso e la nostra sfera emotiva.
A tal proposito, ho chiesto: “Pensando al gusto e ai sapori, esistono codici mentali sicuramente legati a esperienze che abbiamo memorizzato e interiorizzato, ma a livello scientifico ci sono codici che devono essere trasposti in un piatto in modo che il cervello lo registri come appetibile?” Ecco cosa ha risposto il Dottor Termini: “Più che la scienza, è una questione di attivazione della memoria legata a quel tipo di alimento a rendere il piatto più o meno appetibile. Si tratta di una dimensione che riguarda prevalentemente il contesto e la relazione vissuta in quel preciso momento, proprio come diceva Proust nel racconto delle sue madeleines. Quel cibo assume significato, sapore e valore in base all’atmosfera e alla dimensione affettiva che condisce, nel vero senso della parola, quel piatto in quel momento. La dimensione affettiva ed emotiva è particolarmente legata al contesto e il cibo diventa un mediatore, in questo caso. Bisogna tenere ben presente che il cibo è sempre un mezzo all’interno di un contesto. Pensiamo alle cene di lavoro, ad esempio. Se il rapporto che intercorre tra le persone presenti è buono, tutto diventerà piacevole.
Persino in un conflitto il cibo riesce a mediare, a mitigare e talvolta a risolvere. I cinesi, ad esempio, sono maestri in questo, sono abilissimi a trattare anche questioni spinose intorno a un tavolo, poiché il cibo facilita la risoluzione dei contrasti, anche in situazioni in cui sono in atto trattative.
“Ci sono codici legati ai colori, alle forme del cibo o all’aspetto della presentazione e della tavola stessa che possono creare un particolare appeal tra chi mangia e il piatto?” Chiedo ancora.
“Tutto ciò va ancora ricondotto alla soggettività e intersoggettività” risponde il Dottor Termini, e spiega: “Quello che condiziona lo stato d’animo è più legato alle tonalità cromatiche, alla creatività e alla presentazione del piatto, ma anche l’ambiente ha un ruolo importante. I colori legati al blu indicano uno stile elegante, i toni che vanno dal nero al blu riferiscono un livello alto di eleganza. Il giallo e il rosso, invece, sono più legati a una dimensione più irrazionale. Il rosso della carne, ad esempio, si connette immediatamente alla forza e all’aggressività, quindi ecco che il filetto cotto al sangue verrà sempre presentato nella maniera più curata ed elegante possibile, magari già tagliato e con una salsa per smorzare il colore intenso, evitando assolutamente la presenza del sangue nel piatto. Ciò potrebbe essere legato alla sfera dell’istinto e della sessualità. Ecco perché una persona che soffre di anoressia non mangerebbe mai una fetta di carne al sangue o con un condimento che contenga un elemento unto, grasso. In questo caso particolare, dato che l’anoressia ha alla base uno sviluppo della sfera istintiva psicosessuale bloccata all’infanzia, tutto ciò che è grasso viene ricondotto alla sessualità, alla procreatività, alla cellulite e innesca reazioni di un determinato tipo.
Chi soffre di anoressia è sempre molto attento a consumare grandi quantità di fibre rigorosamente non condite, in conseguenza ad una continua necessità di pulizia del proprio corpo. Chi convive con questa patologia è affettivamente ed emotivamente totalmente dipendente dalla famiglia. I cibi grassi riattivano uno schema narcisistico che crea un conflitto con il cibo stesso, conflitto che chi soffre di anoressia deve vincere assolutamente, anche a costo della morte. Questo accade perché il cibo è l’unico campo in cui una persona anoressica, nella sua visione, può affermare la propria autonomia e indipendenza. E’ un attacco all’identità della propria madre e un’alleanza con il proprio padre, che l’anoressica vuole “salvare” dalla madre. Tutto il cibo è un messaggio continuo e costante che gli anoressici mandano alla madre, giudicandola aspramente.”
Da questa chiacchierata spicca il fatto che il cibo non è solo l’alimento in sè, come siamo abituati a considerarlo e a vederlo. Dietro a questo argomento si snodano svariate tematiche che sarebbe affascinante approfondire per conoscere meglio tutti i meccanismi legati alla nutrizione, una delle basi fondamentali della vita. Del resto, per citare Feuerbach, “l’uomo è ciò che mangia”.